Tumore alla prostata – Carcinoma prostatico

Il tumore alla prostata nasce all’interno delle cellule presenti in una ghiandola, la prostata appunto, che cominciano a crescere in modo incontrollato. La prostata è presente solo negli uomini, si trova di fronte al retto e produce una parte del liquido seminale che fuoriesce durante l’eiaculazione.

La prostata generalmente ha le dimensioni di una noce, ma nel corso del tempo o a causa di specifiche patologie può ingrossarsi, provocando problemi anche piuttosto seri all’apparato urinario. La ghiandola è influenzata dall’azione degli ormoni, in particolare il testosterone, che può incidere ed influenzarne la crescita.

Quali sono i principali fattori del tumore alla prostata?

Le cause del tumore alla prostata, conosciuto anche come carcinoma prostatico, sono ancora sconosciute. È però possibile individuare alcune cause che favoriscono la comparsa della patologia, in primis l’età. Uomini sotto i 40 anni difficilmente sviluppano un tumore alla prostata, ma le possibilità di ammalarsi aumentano dopo i 50 anni e soprattutto dopo i 65 anni.

Secondo le ricerche addirittura il 70% degli over 80 ha un tumore alla prostata, anche se la patologia spesso è asintomatica o comunque non incide particolarmente sulla qualità della vita. La presenza di tumore alla prostata in molti casi viene rilevata in caso di autopsia dopo la morte.

Un altro fattore che incide in maniera importante è la familiarità. Se in famiglia ci sono parenti consanguinei malati di tumore alla prostata, è molto più probabile che la patologia si presenti. Questi soggetti quindi dovrebbero sottoporsi a controlli continui per prevenire la comparsa della malattia.

La probabilità di ammalarsi è strettamente collegata alla mutazione di alcuni geni come BRCA1 e BRCA2, o del gene HPC1. Sono campanelli d’allarme anche alti livelli di ormoni come il testosterone, che favorisce la crescita delle cellule prostatiche, o dell’ormone IGF1, simile all’insulina, che agisce sulla crescita delle cellule.

C’è poi una serie di comportamenti poco virtuosi che possono favorire l’insorgenza della malattia. Sicuramente è sconsigliabile un’alimentazione ricca di grassi saturi, come insaccati e fritti, carne rossa e latticini. È invece preferibile una dieta vegetariana basata soprattutto su ortaggi gialli e verdi, frutta, olio d’oliva e vitamine A, D ed E. Da evitare o almeno limitare l’assunzione di alcol, caffeina e fumo.

La sedentarietà è un altro fattore che potrebbe favorire la comparsa del tumore, quindi è opportuno fare un po’ di sana attività fisica. Alcuni studi hanno evidenziato che c’è una correlazione tra il carcinoma prostatico e l’infiammazione, cronica o ricorrente, della prostata. Le cause potrebbero essere ricondotte a virus, batteri e sostanze tossiche introdotte dall’esterno.

Numeri da non sottovalutare

Il tumore alla prostata rappresenta il 20% delle neoplasie diagnosticate nella popolazione maschile over 50. Secondo le statistiche, un uomo su 8 in Italia ha buone probabilità di ammalarsi di tumore alla prostata. L’incidenza della malattia è salita a partire dal 2003, quando si è diffuso il test PSA come strumento per la diagnosi precoce.

Guardando l’altra faccia della medaglia, fortunatamente la mortalità risulta piuttosto bassa. Il 91% delle persone alle quali è stato diagnosticato un carcinoma prostatico dopo 5 anni è ancora in vita. Questo è merito sicuramente dell’aumentata prevenzione, che consente di individuare la malattia in tempo e curarla nel mondo adeguato.

Tipologie di tumori

All’interno della prostata sono presenti varie tipologie di cellule, ognuna delle quali può diventare cancerosa. Quasi tutti i tumori prostatici diagnosticati hanno origine dalle cellule della ghiandola e sono chiamati adenocarcinomi.

In rari casi nella prostata possono essere presenti sarcomi, carcinomi a piccole cellule e carcinomi a cellule di transizione. Risultano invece più comuni le patologie benigne che colpiscono la prostata, in modo particolare dopo i 50 anni, che provocano disturbi molto simili al tumore alla prostata.

Tra le più comuni c’è l’iperplasia prostatica benigna, che determina un ingrossamento della zona centrale della prostata che comprime l’uretra, il canale tramite il quale passa l’urina per andare verso l’esterno. La crescita della prostata crea una compressione che provoca problemi di natura urinaria.

cellule cancerogene

Quali sono i sintomi principali?

Il tumore alla prostata, soprattutto nelle fasi iniziali, è del tutto asintomatico e quindi è difficile diagnosticarlo in anticipo. I sintomi più comuni sono: difficoltà nell’inizio della minzione, necessità di urinare spesso, dolore mentre si urina, sangue nelle urine o nello sperma, sensazione di vescica non svuotata completamente. Per effettuare la diagnosi è necessaria una visita urologica, comprensiva dell’esplorazione rettale, o il controllo del PSA con un prelievo di sangue.

Come già accennato i sintomi sono molto simili ad altri problemi prostatici piuttosto frequenti, come l’ipertrofia benigna prostatica, perciò è consigliabile rivolgersi ad uno specialista per valutare se effettuare altri esami più approfonditi.

L’importanza della prevenzione

Come già anticipato precedentemente, il tumore alla prostata è asintomatico soprattutto nelle prime fasi e quindi individuarlo in anticipo è difficile, se non impossibile. Sugli esami preventivi però il dibattito è aperto, tant’è che esistono due scuole di pensiero relativamente agli screening con PSA.

La prima scuola di pensiero, di origine americana, sottolinea l’importanza di prescrivere esami diagnostici preventivi a tutti gli uomini over 50, come l’antigene prostatico specifico PSA. La seconda scuola di pensiero, di matrice europea, evidenzia invece che la letteratura medica non ha confermato la reale validità di una diagnosi precoce, in assenza di sintomi, nel migliorare la sopravvivenza ed aumentare le probabilità di guarigione.

La diffusione del PSA (dosaggio dell’antigene prostatico specifico) negli ultimi anni ha modificato l’epidemiologia del tumore, anche in senso qualitativo. La nascita di forme silenti ed asintomatiche del tumore alla prostata ha reso più complicata la valutazione dei fattori di rischio correlati in passato all’insorgere della malattia.

Come diagnosticare il carcinoma prostatico

Le diagnosi di carcinoma prostatico sono aumentate a partire dagli anni ’90, quando l’esame per la misurazione del PSA è stato approvato dalla FDA (Food and Drug Administration). La sua reale validità viene ancora dibattuta tra gli esperti, poiché i valori potrebbero essere alterati da infezioni o dalla presenza di una iperplasia benigna. Per questo motivo l’uso di questo test è stato limitato negli ultimi anni e comunque la misurazione sierica del PSA va valutata attentamente in base a determinati aspetti come età del paziente, familiarità, storia clinica e presenza di altri fattori di rischio.

I disturbi urinari compaiono quando la patologia è già in stato abbastanza avanzato e non bisogna comunque scartare l’ipotesi che possano dipendere da altre patologie. Risulta quindi fortemente consigliabile rivolgersi ad un esperto del settore che valuti diversi fattori prima di stilare la diagnosi.

Generalmente si procede con il test del PSA e l’esplorazione rettale, esami che si possono effettuare direttamente presso lo studio del medico di base o dell’urologo. In alcuni casi è possibile individuare col tatto la presenza di noduli all’altezza della prostata.

Per avere la certezza della presenza di cellule tumorali nel tessuto prostatico bisogna procedere alla biopsia prostatica, che deve essere preceduta da una risonanza magnetica multiparametrica. Tale esame viene eseguito in anestesia locale, ambulatorialmente o in day hospital e dura pochi minuti.

Con una sonda ecografica inserita nel retto si effettuano circa 12 prelievi tramite un ago speciale per via trans-rettale o trans-perineale, successivamente analizzati al microscopio da un patologo per individuare eventuali cellule tumorali. La biopsia prostatica può essere effettuata in modo mirato anche tramite la guida della risonanza magnetica multiparametrica eseguita in precedenza.

consulto medico

Come individuare i vari stadi del tumore alla prostata?

Il tumore alla prostata si classifica secondo due fattori: il grado, che indica l’aggressività della malattia, e lo stadio che ne indica lo stato. A seconda della fase in cui si trova la malattia si effettuano specifici esami di stadiazione come TC (tomografia computerizzata) o la risonanza magnetica. In determinati casi, per verificare la presenza di metastasi dello scheletro, si utilizza la scintigrafia ossea.

Dopo l’analisi del tessuto prelevato con la biopsia, il patologo assegna al tumore il cosiddetto grado di Gleason, cioè un numero compreso tra 1 e 5 che indica quanto l’aspetto delle ghiandole tumorali sia simile oppure diverso da quello delle ghiandole normali.

I tumori con un grado di Gleason minore o uguale a 6 sono considerati di basso grado, quelli con 7 di grado intermedio e quelli tra 8 e 10 di alto grado. Questi ultimi hanno maggiori probabilità di progredire e quindi di diffondersi anche ad altri organi. Ultimamente è stato introdotto anche un nuovo sistema di classificazione che suddivide la neoplasia prostatica in 5 gradi, tenendo conto del potenziale maligno e dell’aggressività.

Lo stadio del tumore viene definito col sistema TNM, dove T sta per tumore, N indica lo stato dei linfonodi (N:0 se non intaccati, 1 se intaccati) ed M indica la presenza di metastasi (M:0 se assenti, 1 se presenti). Per definire con esattezza lo stadio del tumore, al sistema TNM si affiancano altri parametri come il citato grado di Gleason ed il livello di PSA alla diagnosi.

In base a questi parametri è possibile attribuire 3 diverse classi di rischio: basso, intermedio e alto. Se il rischio è basso è sufficiente monitorare l’evolversi della patologia, senza interventi chirurgici troppo invasivi che comprendono la rimozione della ghiandola.

Come curare il tumore alla prostata

La terapia per la cura del tumore va scelta attentamente, poiché ognuna di essa presenta dei benefici ma anche effetti collaterali piuttosto fastidiosi. Per scegliere la terapia più adeguata e concordarla secondo le preferenze del paziente, è opportuno valutare l’età, le aspettative di vita e ulteriori caratteristiche del soggetto ed il grado della malattia (basso, intermedio o alto rischio). Di seguito analizziamo tutte le specifiche terapie che esistono in medicina per curare il carcinoma prostatico.

Il “watchful waiting”, la vigile attesa

Per pazienti anziani o già colpiti da malattie gravi, si può decidere di non procedere in alcun modo e di aspettare l’evolversi della patologia. Tale approccio si chiama “watchful waiting”, cioè vigile attesa, che non prevede alcun tipo di intervento fino alla comparsa dei primi sintomi.

Per i pazienti che presentano un grado della malattia a basso rischio, è possibile posticipare gli interventi fino a quando la malattia diventa clinicamente significativa. Inizialmente sono indicati controlli frequenti, come esame rettale, biopsia e PSA che consentono di monitorare attentamente l’evolversi della malattia e verificare cambiamenti importanti che richiedono un intervento. Questo approccio è detto sorveglianza attiva.

prostata

La prostatectomia

Per rimuovere il tumore prostatico localizzato si procede alla prostatectomia, cioè alla rimozione radicale della ghiandola prostatica e dei linfonodi della regione vicina al tumore. La tecnica di intervento è stata notevolmente migliorata negli ultimi anni e ha ridotto in modo significativo le complicanze post-chirurgiche, come l’incontinenza o la disfunzione erettile.

Dopo questo intervento il PSA sierico non dovrebbe più essere dosabile. In caso contrario, si parla di mancata radicalità dell’intervento. La ricomparsa di livelli dosabili di PSA può indicare una ricaduta della malattia. Tale soluzione va comunque valutata in base all’età ed alla condizione del soggetto.

La rimozione radicale della prostata può essere effettuata col metodo tradizionale (prostatectomia radicale retro pubica aperta) oppure per via robotica. Le nanotecnologie ed i robot progettati per effettuare interventi chirurgici sono sempre più diffusi sul territorio nazionale, ed assicurano risultati simili alle operazioni classiche. Tuttavia il bisturi non sempre è sufficiente a risolvere il problema, quindi bisogna intervenire con altri trattamenti come la radioterapia e l’ormonoterapia.

La radioterapia

La radioterapia prevede l’irradiazione esterna ed il ciclo di terapia può durare per alcune settimane. La durata va stabilita in base al tipo di tumore, alle sue dimensioni ed all’eventuale diffusione.

Ci sono da segnalare alcuni possibili effetti collaterali come: irritazione della regione anale, fastidi al livello del retto ed un aumento della peristalsi intestinale, cistite e problemi di erezione. Questi effetti in genere tendono a scomparire entro poche settimane dopo il trattamento. Alcuni però, come la disfunzione erettile, rischiano di diventare permanenti.

L’ormonoterapia

Per i pazienti affetti da malattia metastatica, la soluzione più indicata è l’ormonoterapia, chiamata anche deprivazione androgenica. Tale trattamento previene la produzione di androgeni tramite l’inibizione della sintesi o il rilascio di gonadotropine ipofisarie (utilizzando analoghi LHRH) e antiandrogeni non-steroidei.

Al paziente vengono somministrati farmaci anti-androgeni di varie tipologie che impediscono la produzione di ormoni maschili a livello del sistema nervoso centrale, e bloccano l’azione a livello periferico. Utilizzati in associazione possono dare vita al cosiddetto blocco androgenico completo.

Possono verificarsi effetti collaterali piuttosto fastidiosi come: vampate di calore, gonfiore delle mammelle, sudorazione eccessiva, difficoltà o incapacità di erezione, calo della libido, stanchezza e spossatezza, anemia ed aumento del peso.

La chemioterapia

Se il tumore diventa ormono-refrattario la terapia ormonale non ha più alcuna efficacia, quindi è necessario ricorrere alla chemioterapia. Questo trattamento riduce le dimensioni del tumore, tiene la situazione sotto controllo, allevia i sintomi ed i dolori causati alle ossa dalle metastasi e garantisce una qualità della vita accettabile.

I farmaci di natura chemioterapica possono modificare in modo temporaneo alcuni valori degli esami del sangue, perciò è opportuno verificarli con una certa frequenza e comunque prima di avviare un ciclo di trattamento.

Terapie alternative o in fase di studio

Una terapia alternativa è la brachiterapia, che prevede l’inserimento di piccoli semi che rilasciano radiazioni all’interno della prostata. Tra le terapie locali in fase di valutazioni ci sono l’HIFU, basata su ultrasuoni focalizzati sul tumore, e la crioterapia che prevede la distruzione delle cellule tumorali col freddo. Da segnalare alcuni vaccini in fase di sperimentazione che stimolano il sistema immunitario a reagire per distruggere il tumore ed i farmaci anti-angiogenici, capaci di bloccare la formazione di nuovi vasi sanguigni, così il tumore non può essere nutrito per svilupparsi.

Lista dei sintomi principali

Di seguito ecco i principali sintomi collegabili al tumore alla prostata:

  • difficoltà ad urinare (soprattutto all’inizio della minzione);
  • necessità di urinare frequentemente, in modo particolare di notte (nicturia);
  • difficoltà a mantenere un flusso costante di urina;
  • dolore o bruciore durante la minzione;
  • disfunzione erettile o impotenza;
  • sangue nelle urine e nello sperma;
  • eiaculazione dolorosa;
  • disagio nella zona pelvica;
  • stanchezza;
  • perdita di appetito;
  • malessere generale;
  • dolore generalizzato a schiena, fianchi o bacino.