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Mangio tutto ciò che trovo, con una foga disumana. La cucina sembra un campo di battaglia. Sento il battito cardiaco aumentare, il cuore in gola. Voglio liberarmi, eliminare tutto fino all’ultima goccia. Bevo litri d’acqua, il più grande alleato del bulimico perché, una volta gonfio, grazie ai liquidi ingeriti, lo stomaco è pronto a rimettere anche la bile. Ora è dilatato, al punto di bloccarmi quasi il respiro. Corro in bagno. Le lacrime intanto cominciano a scendere. Dopo tanti anni, mi provoco il vomito senza nemmeno dover mettere le dita in gola. La forza con cui il cibo mi attraversa l’esofago è irrefrenabile. Esce con violenza dalla bocca, dal naso. La soddisfazione aumenta insieme alla quantità di cibo che vedo nella tazza. La guardo, quasi volendo assicurarmi che sia tutto lì, perché nulla deve rimanermi dentro.
Adesso finalmente sono vuota. Il cuore è impazzito per lo sforzo. Lo specchio che ho davanti mi riporta un’immagine che riconosco: ho il viso coperto di piccole macchie rosse, per i capillari che si sono rotti. Evito il mio sguardo e continuo a piangere. Dopo aver rimesso, il senso di soddisfazione è qualcosa di effimero: sono ancora più triste, e sola. Ma almeno per stanotte, stremata, sfuggirò ai miei pensieri…”
Giulia si ferma per la prima volta da quando le ho chiesto di raccontarmi di lei, della sua storia. Seduti in un angolo di Roma, circondati da una manciata di tavolini disposti ordinatamente in una pizzetta che si affaccia sul traffico pigro di fine estate, beve del thè lentamente, appoggiando di tanto in tanto i suoi occhi altrove. E’ una ragazza esile, i lineamenti del viso ancora poco segnati dall’età, nonostante quel suo passato perfettamente invisibile agli altri. Il male che si portava dietro, una volta guarita, l’ha spinta a volersi dedicare a quanti ancora non sono riusciti a sconfiggere quel vuoto dentro.
Il termine bulimia deriva dalla parola greca “boulimia”: bous-bue, limos-fame,“fame da bue”. E’ un disordine alimentare caratterizzato da episodi di abbuffate, seguiti di solito da comportamenti compensatori quali il vomito autoindotto, abuso di lassativi ed esercizio fisico praticato in maniera eccessiva e compulsiva.
La bulimia, spesso legata a fattori familiari e depressione, è scatenata da un grave disagio psicologico, dall’irrefrenabile voglia di controllare almeno una cosa nella vita: il proprio peso corporeo. Subito dopo un eccesso alimentare, il senso di colpa è tale da non permettere all’individuo di pensare alle conseguenze degli abusi inflitti al proprio fisico, ma i danni sono innumerevoli e molto spesso cronici.
L’apparato digestivo viene compromesso per sempre: lo smalto dei denti, ad esempio, viene corroso dal passaggio forzato dell’acido dei succhi gastrici, le carie aumentano, le gengive sono infiammate, come l’esofago e lo stomaco. La mancanza di potassio, solo uno dei minerali fondamentali per il nostro corpo, causa dei seri squilibri al ritmo cardiaco, stravolgendone il battito. L’alterazione alimentare provoca una profonda disidratazione generale dei tessuti: la pelle invecchia precocemente e i capelli, ormai privi di nutrimento, cadono come foglie d’autunno. Osteoporosi e dolori articolari sono più frequenti che nei soggetti normali.
L’insoddisfazione nel guardare il proprio corpo e una forte voglia di perdere peso sono i due elementi chiave per l’avvio verso la bulimia. A differenza dell’anoressico, il bulimico manterrà negli anni un peso abbastanza normale. Nonostante ciò, la percezione dell’immagine corporea sarà distorta. La persona bulimica, pur negando agli amici, ai parenti, l’esistenza di un problema, è generalmente molto sincera con se stessa riconoscendo di alimentarsi in forma anomala.
Il bulimico invaso dall’ansia mangia spaventato, in forma compulsiva. Il senso di colpa per aver perso il controllo è insostenibile, e l’unico pensiero che lo domina è quello di svuotarsi a breve. Gli episodi durano circa due ore, deve mangiare e rimettere in un lasso di tempo limitato. Anche se per poco, dopo essersi liberato del cibo, il bulimico si rilassa e finalmente sente di avere emozioni e vita sotto controllo.
Statistiche effettuate dalla Renfrew Center Foundation rivelano che circa 70 milioni di persone al mondo soffrono di disturbi alimentari, di cui 24 solo negli Stati Uniti. Una donna su cinque combatte contro queste malattie, ma non mancano gli uomini. Circa il 10% colpito da questi disordini è di sesso maschile, percentuale in costante aumento.
Studi effettuati dall’ABA riportano, in Italia, circa 3 milioni di casi con percentuali più alte per la bulimia che raggiunge il 70,3%. Le malattie si manifestano tra i 12 e i 25 anni, il 50% delle ragazze di età compresa tra 11 e 13 anni ritiene di essere sovrappeso. Il tasso di mortalità di queste malattie si tiene molto alto, anche se non sono disponibili numeri esatti.
La bulimia è diffusa principalmente nei paesi industrializzati che vengono costantemente bombardati dai messaggi dei mass media. Slogan commerciali come “magro è bello” generano canoni di comportamento che inducono a credere che la bellezza sia la chiave del successo (soprattutto nel mondo femminile) e dell’accettazione di se stessi.
Negli ultimi anni i trattamenti specialistici per i disturbi alimentari sono aumentati. Il percorso è in ogni caso sempre lungo, difficoltoso, incerto. Il 70% delle persone affette da questa malattia riescono a guarire, il restante continuerà a lottare in silenzio, da solo. Recenti studi della suddetta associazione riportano che nelle Fiji i disordini alimentari sono sensibilmente aumentati con l’arrivo della televisione nelle comunità. Molti giovani apprendono la “tecnica” in scene di film e leggendo articoli che dovrebbero aiutare a combattere questa epidemia sociale.
“E tu, è così che hai iniziato?” le chiedo.
“Si. Perfect body, un film girato alla fine degli anni ‘90, è stato il mio primo approccio verso la bulimia. Cercavo disperatamente di riempirmi con il cibo sperando che potesse colmare il vuoto di un padre inesistente. Dovevo essere perfetta per non essere mai più rifiutata, e questa volta avrei avuto il pieno controllo della situazione. Non avrei più permesso a nessuno di ferirmi in quel modo, o almeno cosi pensavo. Invece stavo provvedendo ad autodistruggermi. Il letargo dalla mia vita è durato 13 lunghi anni…
In tutto questo tempo ho perso molte, troppe giornate. Vivevo imprigionata dall’ossessione del cibo: quando mangiare, come mangiare, quanto e se mangiare. Rimettere. La bulimia mi stava divorando. La presa di coscienza è stato il primo passo verso una nuova vita.”
Giulia ha ripreso a parlare, ma il tono delle sue parole ora diventa più convinto, come se, nel ricordare quel click che ha dato un cambio alla sua esistenza, uno spiraglio di luce le accendesse di nuovo il volto.
“Dopo aver ammesso a me stessa la gravità della situazione, mi sono recata all’ABA, un’associazione fondata da Fabiola De Clerq nel 1991 che è impegnata nello studio dell’anoressia, della bulimia e dei disordini alimentari. La sala d’attesa non era molto grande. Una ragazza di non più di 16 anni aspettava come me la psicologa. Non abbiamo scambiato nemmeno una parola, ma i nostri sguardi identici e quei sorrisi che avevamo l’una per l’altra trasmettevano compassione ad entrambe: lei, come me, era in attesa di essere ricevuta per poter affogare i suoi dolori nella stanza accanto.
Quando rimasi sola, cominciai a leggere gli articoli sulla bulimia e sull’anoressia appesi in tutta la stanza: erano il mio triste ritratto. Una parete, invece, era dedicata alle lettere e cartoline mandate da persone ormai guarite: esprimevano gratitudine, felicità e una gran voglia di vivere. Ho pianto come una bambina, domandandomi se un giorno l’avrei spedita anch’io una lettera come quelle che stavo leggendo.”
“Giulia?” “Sì.” “Piacere, sono Sandra Cammarata. Prego.” “Era giunto il mio turno. I minuti trascorsi nello studio stavano volando, mentre la diffidenza iniziale stava per cedere il passo a una nuova debole speranza. Fino alla successiva ricaduta che mi avrebbe catapultato di nuovo nel buio più profondo.”
Le psicoterapie da utilizzare sono varie, e numerose le associazioni che si impegnano nella difficile ricerca del punto di svolta: ma, questo bisogna dirlo, tutto dipende da un profondo, personalissimo lavoro interiore. Ogni persona affetta da bulimia o anoressia può trovare il cammino verso la guarigione nel profondo dell’anima: serve loro unicamente la spinta a scorgerlo, per intraprenderlo e non voltarsi più indietro.
Ci vuole una grande forza di volontà per sconfiggere questo male.
“La strada da percorrere era già dentro di me, ne ero sicura. Avevo solo bisogno di qualcuno che me la indicasse. Poi, un giorno, è arrivato l’amore… In fondo è ciò che ogni persona affetta da questi disturbi spera di trovare: amore da dare, e da ricevere. E’ la cura più rapida ed efficace: da due anni, posso dirti, ho ripreso il controllo della mia vita. Mi sento piena, con la gioia di vivere, ho ritrovato me stessa perchè ho accanto una persona che mi accetta per come sono, e mi ama. Da quando sono guarita, ho anche imparato a rispettare di più il mio corpo. Guardo avanti, verso il futuro, senza avere il peso addosso di quelle giornate buie.”
Recentemente Amanda Beard, campionessa olimpionica di nuoto, ha affermato di essersi liberata dalla morsa della bulimia grazie al suo compagno, ora padre di sua figlia. Anche Giulia ha avuto un cammino simile.
Certo, la bulimia sarà sempre presente nei suoi pensieri: sono troppe le cicatrici che le ha lasciato dentro e fuori. Gli anni della sua adolescenza non torneranno più indietro, e questo lo sa bene. Quando me ne parla, le affiora una rabbia tale che riesce a stento a controllare le lacrime.
“Ogni tanto penso al male che mi sono inflitta, al profondo dolore che ho recato a mia madre e alle persone che mi stavano accanto. Quante volte avrei voluto smettere per loro, perchè odiavo vederle soffrire per colpa mia. Ma proprio questi sensi di colpa mi facevano cadere in depressione. E dovevo continuare a punirmi.”
Quando colpisce, la bulimia non risparmia nessuno. “Ho lo smalto dei denti rovinato e da circa un anno combatto con una perdita di capelli che sembra non arrestarsi più. Fisicamente sono provata e purtroppo so che il conto finale sarà molto caro. Delle volte mi chiedo solo perché non sono riuscita a smettere prima…”
Il traffico intorno ci regala un momento di quiete, e anche lei sembra esserne avvinta, dopo uno sfogo ininterrotto che ci ha fatto passare quasi un intero pomeriggio a parlare del suo male. Ci guardiamo in silenzio, quasi complici di un segreto indicibile. Poi, di colpo, si mette a ridere senza un motivo, e il suo sorriso contagia anche me. Giulia è davvero guarita. E quel vuoto dentro, adesso, non le fa più paura.
IN COLLABORAZIONE CON VALENTINA ROMITI
Agora Magazine
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