Ancorati allĀ“amore

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La sensazione di navigare è meravigliosa: disegniamo e interpretiamo le mappe, seguendo la nostra rotta. Ci piace sentirci liberi, senza limiti in mezzo a tanta immensità, con tutto da esplorare, ma… saremo capaci di sopportare tanta autonomia?

Ho paura che sia negli affetti dove questa dualità influisce di più. Partiamo disposti a percorrere migliaia di miglia, a liberarci da qualsiasi legame, ma quando ci piace un posto —anche solo un po’— senza rendercene conto cominciamo a gettare l’ancora.

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Alejandra Daguerre è nata a Buenos Aires, dove vive e lavora. Laureatasi in Psicologia nel 1990 all’Università del Salvador nella capitale argentina, ha dapprima lavorato nella Fondazione Argentina per la Lotta contro il Mal di Chagas, nel dipartimento di Psicologia, poi per tre anni presso il Ministero del Lavoro e della Sicurezza sociale (interviste di preselezione, programmi di reinserimento lavorativo e tecniche di selezione del personale), poi dal 1994 al 1999 nella selezione del personale per l’Università di Buenos Aires. Dal 2003 al 2009 ha lavorato presso l’Istituto di Estetica e Riabilitazione Fisica “Fisiocorp”, dipartimento di Psicologia, nel trattamento psicologico di pazienti con malattie croniche e pazienti in riabilitazione fisica a lungo termine. Dal 1991 opera in attività libero-professionale nel campo della psicologia clínica, per adolescenti e adulti, con metodiche di psicoanalisi e con ricorso all’arte-terapia e terapia occupazionale, utilizzando l’arte come elemento di catarsi terapeutica.

I naviganti dicono che ancorarsi non è un compito facile; che per assicurare l’imbarcazione bisogna valutare le condizioni generali del vento, la forza delle maree, il tipo di fondale, la profondità, ecc. Solo così l’imbarcazione non soffrirà e non andrà alla deriva.

Faremo lo stesso con i nostri affetti? Valuteremo attentamente la situazione? Ci attaccheremo a necessità quasi egoiste? Taglieremo le cime bruscamente per continuare il viaggio? Ci attaccheremo alla prima circostanza per paura di una solitudine esagerata? Ci rifugeremo in ciò che crediamo possa essere amore?

Sarebbe bene che ogni capitano ogni tanto desse un’occhiata alle sue carte nautiche, che identificasse i punti difficili e valutasse le zone di ancoraggio dato che si tratta di informazioni importanti per futuri cambi.

Sarebbe bene che ognuno di noi come capitano della propria imbarcazione capisse che un rifugio è solo questo, un posto per proteggerci, ma se cambiano certe circostanze, nessuno vorrebbe essere sempre rifugiato. Ed ecco una nuova sfida, è tempo di salpare e anche questo ci sembra difficile.

Abbiamo percorso mari agitati, abbiamo goduto della loro calma e resistito le tempeste. Iniziare il ritiro in buona forma sembra difficile come ancorarsi. Facciamo sforzi smisurati (lottando con le nostre ancore); difficilmente ci comportiamo cortesemente e la cosa peggiore è che la maggior parte delle volte roviniamo tutto, compreso il famoso incrociarsi di catene di altre ancore.

Pronti per partire, è ora di continuare, l’imbarcazione è pronta, l’equipaggio è a bordo e la rotta la segna il nostro proprio orizzonte. Ed è lì dove scopro che navigare liberamente non è lo stesso che navigare senza meta o alla deriva. E scopro anche che amare liberamente vuol dire gettare e levare l’ancora con precisione e saggezza.

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