Vela senza barriere
<<Noooo!! Chi ha puntato la sveglia? E’ domenica oggi, non si va a scuola! Che palle non voglio alzarmi!! Ma chi è stato? Uffaaaa!>>
“Avanti Debora…è ora…è ora di alzarsi. Forza! Ti ricordi che oggi dobbiamo andare in barca? Ti avevo detto che questa domenica saremmo state con le nostre amiche sul lago di Como, in barca a vela: ti avevo raccontato di come avremmo preso la macchina e saremmo passate a prendere Lucia e la sua mamma e insieme saremmo andate in un posto che si chiama Menaggio e avremmo fatto una gita in barca a vela”
“Si mi ricordo, ma oggi non ho voglia! Non mi voglio alzare così presto! Andiamo a mezzogiorno, alle 12 precise, alle 12 in punto. A quell’ora voglio andare.” “Prendi il telefono e chiama Lucia. Dici che non andiamo, che sono stanca, che ho mal di testa…”
“Su, su, su forza, pigrona! Ti conosco benissimo…sono sicura che dopo che ti sarai alzata e vestita, dopo che avrai bevuto al tua solita tazza di latte con i biscotti con gli animaletti, sarai bella pimpante e avrai voglia di fare questa gita. E poi ti ho spiegato tutto per bene, di come si chiama il nostro skipper, di come si chiama la barca, il porto, la persona che mi ha risposto al telefono quando ho prenotato, insomma tutto quello che dobbiamo sapere per divertirci oggi. Ho anche portato i tuoi panini preferiti e l’aranciata. Forza! Alzati!”
<<Mannaggia a questa mamma! Se ne inventa sempre una per non farmi riposare…io sono stanca…la domenica voglio stare a letto e fare le cose tutte per bene, tutte con calma…invece oggi è come se andassi a scuola e…io non voglio andare a scuola tutti i giorni!!!!>>
La mamma è stata proprio terribile, non mi ha lasciato dormire…siamo partite con la macchina e siamo andate a casa di Lucia, la mia amica preferita e anche lei è molto arrabbiata con la sua mamma perché non l’ha lasciata a letto. Quando salgono sulla nostra macchina stanno urlando e io ripeto alla mia mamma che non è il momento per andare in barca perché la mia amica è agitata e quando è agitata non è mai una bella cosa. E dico anche che la barca potrebbe affondare e io ho paura di affondare. Ma oggi la mamma non mi ascolta. Io mi domando: << Ma chi vuole andare in barca? Io o la mamma?>>
Il viaggio è lungo, sembra non finire mai…la mamma cerca di fare di tutto per distrarmi; mi chiede se mi ricordo il nome della barca, se mi ricordo il nome del porto, mi dice tutti i paesi che stiamo attraversando…ma io di salire su una barca a vela non ne ho proprio voglia.
Mi viene un’idea. Quando saremo arrivate, pianterò un muso incredibile e mi metterò ad urlare, così che lei sarà costretta a riportarmi a casa.
Finalmente arriviamo. Parcheggiamo e anziché andare al porto, la mamma mi porta al bar. Mi dice che il ritrovo con lo skipper è lì e che nel frattempo possiamo prenderci qualcosa di caldo da bere oppure una bella brioche al cioccolato, la mia preferita.
Quando entriamo c’è un signore seduto al tavolo che sta bevendo il caffè e appena ci vede si alza e si presenta: “Buongiorno! Ben arrivate! Mi chiamo Adriano è oggi avrò l’onore di portarvi un po’a spasso nel lago con una barca a vela!”
Mi piace quel signore. Si è subito presentato…anche a me hanno insegnato a presentarmi quando parlo con le persone. Guarda tutti negli occhi e non mi fissa come fanno tutte le persone che incontro per strada e continua a sorridere e non a ridere.
Io mi nascondo un po’ dietro la mamma e aspetto che lei mi convinca a farmi avanti e a presentarmi come tutte le volte che incontriamo degli estranei.
Mi ripete sempre la solita formuletta: “Come si dice Debora? Buon giorno Adriano! Io mi chiamo…Debora” E’ così tutte le volte…tutte le volte la solita storia…cambiano le persone ma io devo sempre dire le stesse cose…Loro possono cambiare le parole, mentre io no…sempre il solito pappagallo. Però se non faccio in questo modo rischio di non dire nulla, perché le parole non mi escono e allora mi adeguo a quello che mi hanno insegnato, perché non voglio essere maleducata.
Insomma Adriano ci offre la colazione e ci accompagna sul pontile per spiegarci per bene come si sale su una barca a vela e su come andrà la nostra giornata.
<<Non salgo, non mi piace! Ma nessuno mi ascolta>>.
Però mi piace lo skipper: è tranquillo, sempre allegro, quando parla lo capisco perché dice poche parole e le ripete tante volte e lentamente. Mi piace perché parla con me e con la mia amica Lucia e non soltanto con la mamma, facendo finta che non esistiamo. Mi dice che devo cambiare le scarpe, però prima mi chiede se sono capace di farlo da sola.
“Ma certo!” Rispondo “e tu non mi aiutare!” Sono la prima a prepararmi e allora lui comincia a spiegarmi che per salire su una barca a vela bisogna tenersi ben stretti agli oggetti fissi, altrimenti si casca in acqua. Solo che gli oggetti fissi a me fanno male alle mani perché sono di metallo e comincio a frignare …non voglio salire…non sono capace.
Allora Adriano sale per primo e mi dice di fargli vedere le scarpe perché sono belle e vuole comprarne un paio come le mie per sua figlia. Io gli rispondo che me le ha comperate la mamma e che sono di marca …ma lui non ci vede bene e mi chiede di mettere un piede sul bordo della barca per fargliele vedere meglio; poi mi chiede di fargli vedere le mie mani per capire se ci sono delle ferite per colpa degli oggetti fissi e…oplà mi ha tirato sulla barca. Ci sono proprio cascata!
Mi accompagna a sedermi nel “pozzo” e mi dice che lì non potrà succedermi nulla, perché è un posto sicuro ed è l’unico pozzo dove non si cade, ma si sta seduti. Arriva anche la mia mamma e la mia amica. Adriano parla e ci racconta la storia della barca e di tutti i viaggi che ha fatto con lei…io penso che lui le vuole bene.
Dopo un po’ siamo pronti per partire, ma la mamma mi dice che è meglio andare in bagno, così non ci pensiamo più.
Uffa! Mi tocca scendere e fare ancora fatica e giuro che stavolta non ci casco più nel trucchetto di Adriano!
Noi scendiamo tutte, mentre lo skipper rimane a bordo e accende il motore per vedere se è tutto ok. Quando torniamo ci viene incontro per aiutarci a salire, ma io dico che faccio tutto da sola e che non mi serve il suo aiuto, perché lui racconta bugie e non voglio farmi fregare.
Quando siamo tutte a bordo, libera le “corde” e la barca si muove. Noi siamo tutte sedute nel pozzo e lui ci racconta che un giorno in quel porto si è alzato un vento così forte che la barca si è staccata dal suo posto senza usare il motore e che bisogna usarlo il meno possibile perché rovina la magia del vento. Eppure a me piace il rumore che fa e mi sembra di andare forte perché i miei capelli sono tutti mossi e devo mettere il cappello per non scompigliarli tutti.
Mentre stiamo chiacchierando non mi sono accorta che siamo già in mezzo al lago ed è giunto il momento di usare le vele. Io non capisco come funzionano, sembra che per muoverci con il vento dobbiamo lavorare molto, mettere il “naso nel vento”, far sdraiare la barca (speriamo che non si rovescia), tirare le corde e lasciarne delle altre. Lo skipper mi dice che quando faccio troppa fatica a tirare (ho imparato anche che si dice in un altro modo, ma secondo me è volgare) devo urlare “Oh issa! Oh issa!” e se poi non ce la faccio c’è una rotella che può aiutarmi.
Ma io sono forte e la rotella non mi serve e neanche l’aiuto della mamma che si intromette sempre perché pensa che non so fare le cose da sola. Per fortuna che c’è Adriano: lui mi dice che sono bravissima e mi ha nominata seconda in comando. Non so cosa vuol dire, ma mi fa sempre sedere vicino a lui e con la sua voce calma mi fa vedere le cose che ci sono nel lago e mi fa usare il timone.
“Sei tu che decidi dove andare. Dove ci vuoi portare di bello oggi?” Io non lo so, ma questa cosa mi fa sentire grande e importante e allora io rispondo: “Oggi andiamo in America! Quanto tempo ci mettiamo per arrivarci?” Io una volta ci sono stata in America e sono andata con l’aereo e ho dormito sempre. Per arrivarci ci ho messo cinque minuti.
Forse con una barca a vela vi vuole un po’ più di tempo, diciamo un’ora, ma giusto per stare larghi e magari fare una piccola sosta per mangiare un gelato.
Adriano comunica all’equipaggio che siamo diretti a New York e il primo che vede la Statua della Libertà vince un premio; nel frattempo dobbiamo andare veloci altrimenti ci metteremo un’ora e mezza e qualcuno vincerà il premio prima di noi. Allora tiriamo le corde, le vele sono tutte stirate e la barca si sdraia sul lato destro. E Adriano dice un’altra bugia: “Stiamo navigando mure a sinistra”. Non è vero! Siamo appoggiati sulla destra… ci ho messo due anni per capire la differenza tra destra e sinistra, tra ricordarmi dove metto l’orologio (io neanche lo porto l’orologio!) e con quale mano scrivo. E adesso lui ha mischiato le cose! Secondo me non è capace di portarci in America.
Lui mi spiega che è importante sapere con quali mura si naviga perché bisogna stabilire chi ha la precedenza sul lago: non ci sono i cartelli come in città. Per forza non ci sono neanche i pali per appenderli!
Mi sembra che stiamo andando molto veloci e chiedo allo skipper quanto stiamo facendo così, giusto per sapere se possiamo arrivare primi. Lui risponde che stiamo andando a 5 nodi e che sono uguali a 10 chilometri all’ora in macchina. La mamma dice che è pianissimo, ma secondo me è un’altra bugia perché a me sembra tantissimo. In un minuto arriviamo dall’altra parte e Adriano ci chiede se siamo arrivati a New York. Boh! Io la Statua della Libertà non l’ho vista e una persona che incontriamo sulla costa ci saluta dicendoci buongiorno, ma io so che in America parlano straniero, inglese.
Decidiamo di fermarci a mangiare in un porto, ma non scendiamo dalla barca…io sono stufa di far fatica e non voglio più muovermi.
Dopo pranzo lo skipper ci insegna a fare le manovre in barca: ci fa vedere come si cambia lato alle vele e ci propone un gioco: quello di trovare un nome più facile da ricordare per la virata, l’abbattuta, i terzaroli, orzare, poggiare, lascare e c…..beh diciamo tirare.
Allora la mamma di Lucia e propone che quando le vele si aprono si può dire “molla”, e quando si chiudono possiamo usare “tira”.
Quando ci allontaniamo dal vento si può dire “scappa” e quando gli andiamo incontro può andare bene “punta”, nel senso di puntare verso la sua direzione.
Bene! Si possono anche mettere insieme: se scappo…mollo, se punto…tiro. E’ vero l’ho già sentito dire quando sono andata a fare tiro con l’arco! Ecco adesso mi ritrovo con le cose che conosco e penso che la mamma di Lucia non dice le bugie. Mi piace questa signora!
Poi tocca a Lucia e dice che quando c’è la virata lei vuole usare “salto”, perché la barca fa proprio un salto dentro nel vento e sembra che si ferma, ma poi riparte.
Quando si stramba è meglio dire “giù la testa”: ci hanno detto che è pericolosa perché il “boom” (boma ndr) ci può fare male se stiamo in piedi oppure con la testa alta.
Se c’è troppo vento la barca si sdraia tanto nell’acqua e non va più bene; allora Adriano ci ha spiegato che possiamo tirar via dei pezzettini di vela per far stare dritta la barca. Questa manovra si chiama prendere i terzaroli, ma io preferisco dire “accorciare la vela”; è più facile perché è come per i pantaloni, ne accorci un pezzo e ti stanno meglio.
Allora, giusto per vede se ho capito: se scappo, mollo e se scappo fino a cambiare il lato alle vele meglio tenere giù la testa. Se punto, miro e se punto tanto vuol dire che salto. Ecco! Così mi ritrovo e faccio meno fatica ad usare le parole dei marinai. Infatti non è in America che parlano straniero…sono i marinai che lo fanno! Ma dove li hanno inventati tutti quei nomi?
Adriano mi spiega che tutti i nomi strani li hanno inventati tanto tempo fa per fare in modo che i marinai potevano capirsi. Per fortuna, dico io, che dovevano capirsi! E se invece volevano usare un codice segreto, cosa potevano dire? Boh, altro mistero!.
Stiamo tutto il pomeriggio a scappare, mollare, puntare e tirare, ma alle quattro e mezza io voglio tornare a terra. Voglio fare merenda. Tutti i giorni faccio merenda a quell’ora, anche di domenica e anche se sono in barca.
La mamma mi dice che devo avere un po’ di pazienza, ma ha già capito che per oggi mi ha spremuto abbastanza e guardando la mamma di Lucia e Adriano li convince a tornare nel porto senza dire una parola.
Finalmente sono sulla terra; sono seduta al bar a mangiare una focaccia e bere una bibita con la mia amica. I grandi sono sulla barca: devono finire di portare giù tutte le cose e devono aiutare lo skipper a pulire la barca.
Io guardo il lago, vedo il sole che sta scendendo dietro le montagne, comincia anche a fare freddo, però in tutto il giorno non ho mai visto la Statua della Libertà. Forse in America non ci siamo ancora arrivati, forse possiamo andarci la prossima volta, perché poi stare in barca non è stato così male. Alla fine non ho fatto neanche fatica a scendere, perché ormai avevo imparato e non mi sono fatta neanche male alle mani con gli oggetti fissi.
Ho sentito il vento nei capelli, ho sentito il rumore del silenzio quando abbiamo spento il motore, ho giocato con le parole dei marinai, ho conosciuto un nuovo amico, mi sono sentita importante, ho cercato di andare in America in barca, anche se non ci sono riuscita, ma almeno ci ho provato.
Sono stata con la mia amica e domani, al centro diurno, durante l’attività di socializzazione, sarò al centro dell’attenzione di tutti, perché nessuno dei miei compagni è mai stato su una barca vela.
Non so se la mia mamma mi porterà ancora, o forse se ci sarà ancora il Adriano, il signore gentile e dalla voce calma e tranquilla, però oggi mi sento stanca e non vedo l’ora di essere a casa, nel mio letto e fare tanna nanna.
Però ho già detto che non voglio essere maleducata e quindi faccio quello che mi hanno insegnato, cioè se qualcuno fa qualcosa per te, tu devi dire almeno grazie.
Allora grazie Lucia, grazie mamma di Lucia, grazie mamma e grazie Adriano; stamattina non ti conoscevo…stasera sei il mio nuovo amico!