Indice rapido
Mollo il lavoro (in banca): storie di dowshifting – II parte
Mollo il lavoro (in banca): storie di dowshifting – II parte
Ecco finalmente la seconda e ultima parte dell’intervista di Cinzia (qui la prima parte per chi se la fosse persa) che ha risposto ad altre domande che le ho fatto riguardo alla sua decisione di mollare il lavoro in banca. Per dedicarsi a cosa? C’è un progetto dietro …
|
Mollo il lavoro (in banca): storie di dowshifting – II parte
Ecco finalmente la seconda e ultima parte dell’intervista di Cinzia (qui la prima parte per chi se la fosse persa) che ha risposto ad altre domande che le ho fatto riguardo alla sua decisione di mollare il lavoro in banca. Per dedicarsi a cosa? C’è un progetto dietro alla sua decisione o è stata frutto di un momento di follia? Di seguito le sue risposte.
…
Altra ragione che mi ha spinto a lasciare: vorrei aprire una mia attività, come l’ho sognata da tanto tempo e come non ho mai avuto il coraggio di realizzare. Ho visto questa opportunità come un “segno” e un incoraggiamento, cui non dire più un altro no. Insomma, più che un attimo di pazzia è una scelta che si è andata formando nel tempo e che a tempo debito è stata presa definitivamente.
Parenti e amici come hanno preso la tua decisione?
La decisione finale di lasciare è stata mia, ma la forza di prenderla e la certezza di fare la scelta giusta sono arrivate grazie al sostegno di mio marito, con il quale ho passato tante sere a fare e rivedere conti delle necessità economiche della famiglia, a elencare e valutare pro e contro, a immaginare una vita senza lavoro mio (nota: per quanto accurata potesse essere l’ immagine che ci eravamo creati, è comunque molto diversa e distante da quello che è attualmente, in positivo e in negativo). Da lui ho imparato (quasi…, lui è molto più bravo di me in questo) negli anni vissuti insieme, a prendere una decisione e a smettere di guardare a quel che avrebbe potuto essere se ne avessi presa un’altra; ho imparato l’ importanza di muoversi per fare sì che la decisione presa sia o diventi quella giusta (anche con aggiustamenti di rotta: certezza non significa inflessibilità).
Il resto della nostra famiglia (genitori miei e del marito, sorella, zii vari, figli anche) e degli amici, l’ha saputo a cose praticamente fatte e, più o meno silenziosamente, si è adeguato. In più, sto coinvolgendo tutti nel mio nuovo progetto: dai nonni che ci aiuteranno ancora nella gestione dei bambini, alla cognata bravissima e appassionata fotografa che mi aiuterà con le immagini per l’ e-shop che voglio lanciare, agli amici che fanno pubblicità e danno sostegno, al marito che profonde pazienza e pungoli, ma soprattutto è sempre accanto a me.
Com’è cambiata la tua routine?
Le prime settimane dopo le dimissioni sono servite a scrollare l’ idea di “sono in vacanza a tempo indeterminato” e ad organizzare una nuova routine, oltre che a perdere l’ansia e la fretta con cui facevo tutto mentre ero ancora dipendente: adesso, con orgoglio, faccio la spesa camminando tra le corsie del supermercato, non corro più come se avessi una formula uno invece del carrello da spingere – e non è stato facile. Un paio di settimane per riposare e staccare completamente con la vita “di prima”, poi progetti e organizzazione per l’adesso e per il futuro.
Al mattino posso accompagnare i bambini a scuola e asilo (cosa che facevo di rado prima e solo quando marito o nonni non potevano), e fermarmi 5 minuti con maestre, altri genitori o nonni a fare due chiacchiere (incredibile quanto ne sappiano più di me sui miei figli e su quello che amano o no: queste scoperte sono decisamente tra i pro). Per non disperdere energie, al rientro lavoro al mio progetto dalle 9 alle 13, facendo finta che il resto non esista (casa in disordine, cestone del bucato pieno, i panni già lavati da stirare, spesa, pasti… chiunque si occupi di una casa e una famiglia ha idea di che cosa sto parlando) e questo distacco è la parte più difficile da raggiungere (5 minuti, dai, attacco la lavatrice, due minuti, dai, lavo le tazze della colazione, un attimo solo, leggo due cavolate su FB: all’ improvviso è finita la giornata e anche il tempo per lavorare!).
Alle 13 pranzo, poi fino alle 16 mi occupo di quello che avevo finto non esistesse in casa. Recupero bimbi da scuola e asilo alle 16:30, pomeriggio con loro: finalmente mi raccontano come passano le giornate, le scoperte o le preoccupazioni (prima, gli ascoltatori erano i nonni, la zia, per ultimi mamma e papà che arrivavano alla sera e spesso non sentivano nulla: a quel punto, i bambini erano stufi di raccontare), ho meno remore quando li devo riprendere, possiamo progettare insieme attività extra-scolastiche (il grande che ha 7 anni ha espresso il desiderio di tirare con l’arco; il piccolo, di 4, vorrebbe sempre imitare il fratello, ma lo stiamo indirizzando verso altri interessi; piscina per tutti -anche per me, sia mai che alla soglia dei 40 anni riesca a imparare a nuotare!). Avendo gestito le necessità casalinghe durante la settimana lavorativa, sabato e domenica sono tempo insieme e non gli unici due giorni in cui poter concentrare i “doveri”, ma in cui trovano posto i “piaceri” e gli hobbies, e le idee anche un po’ folli (mio marito, consulente informatico, è diventato carpentiere e ha costruito un arco in carton-gesso tra sala e cucina praticamente perfetto).
La nostra vita ha (un po’) rallentato e ne ha guadagnato (per me, sicuramente). Certo, dobbiamo stare più attenti ai soldi che entrano ed escono (ma sono diminuite anche le spese fisse legate ad un lavoro a Milano). Abbiamo guadagnato tempo (importantissimo, è la base per tutto), idee, condivisione, energia, vitalità. Sono fortunata, perché tutto questo è stata una scelta, non un imposizione improvvisa (a chi perde il lavoro, e già prima aveva tagliato tutto il tagliabile dalle spese, posso solo dire che capisco perfettamente in quale situazione si trovino, per mio vissuto precedente). Sono fortunata anche perché, figlia di un operaio e di una casalinga, cresciuta in un appartamento di 45 mq in affitto, ho passato una vita a non sentire la mancanza di nulla perché avevo quello che era fondamentale (attenzione, affetto, fiducia, esempi): soldi in meno significa adattarsi alle circostanze, non rinunciare alla propria vita e al proprio futuro. Sono fortunata, perché ho un compagno che mi mostra ogni giorno l’ importanza e gli effetti della tenacia uniti al coraggio e al supporto incondizionato (ma non cieco) di chi ci ama, che ogni giorno mi ricorda di non dire “spero che” ma “quando” realizzerò i miei progetti. Sono fortunata perché ho la possibilità di trasmettere valori, non eredità materiali, a due esseri umani in divenire.
Paure? Ripensamenti?
Certo, alla fine del mese mi prende tremarella quando non vedo più lo stipendio sul conto. Tutti mi guardano come fossi pazza quando racconto di essermi dimessa, soprattutto in un contesto economico così precario. Chi conta veramente nella mia vita però mi sostiene e mi incoraggia, e questo mi fa capire che è il modo in cui affrontiamo la vita, non il lavoro che facciamo, a definire veramente chi siamo e quali tracce lasceremo. In più, lavoro a maglia e uncinetto: un gomitolo e due ferri e un’ oretta di lavoro, alleviano qualsiasi stress e paura, provare per credere!
Cos’altro aggiungere? Io direi nulla, se non un grande in bocca al lupo a Cinzia, e voi?
Prosegui la lettura su: Mollo il lavoro (in banca): storie di dowshifting – II parte
Mollo il lavoro (in banca): storie di dowshifting – II parte
Mollo il lavoro (in banca): storie di dowshifting – II parte
Ecco finalmente la seconda e ultima parte dell’intervista di Cinzia (qui la prima parte per chi se la fosse persa) che ha risposto ad altre domande che le ho fatto riguardo alla sua decisione di mollare il lavoro in banca. Per dedicarsi a cosa? C’è un progetto dietro …
|
Mollo il lavoro (in banca): storie di dowshifting – II parte
Ecco finalmente la seconda e ultima parte dell’intervista di Cinzia (qui la prima parte per chi se la fosse persa) che ha risposto ad altre domande che le ho fatto riguardo alla sua decisione di mollare il lavoro in banca. Per dedicarsi a cosa? C’è un progetto dietro alla sua decisione o è stata frutto di un momento di follia? Di seguito le sue risposte.
…
Altra ragione che mi ha spinto a lasciare: vorrei aprire una mia attività, come l’ho sognata da tanto tempo e come non ho mai avuto il coraggio di realizzare. Ho visto questa opportunità come un “segno” e un incoraggiamento, cui non dire più un altro no. Insomma, più che un attimo di pazzia è una scelta che si è andata formando nel tempo e che a tempo debito è stata presa definitivamente.
Parenti e amici come hanno preso la tua decisione?
La decisione finale di lasciare è stata mia, ma la forza di prenderla e la certezza di fare la scelta giusta sono arrivate grazie al sostegno di mio marito, con il quale ho passato tante sere a fare e rivedere conti delle necessità economiche della famiglia, a elencare e valutare pro e contro, a immaginare una vita senza lavoro mio (nota: per quanto accurata potesse essere l’ immagine che ci eravamo creati, è comunque molto diversa e distante da quello che è attualmente, in positivo e in negativo). Da lui ho imparato (quasi…, lui è molto più bravo di me in questo) negli anni vissuti insieme, a prendere una decisione e a smettere di guardare a quel che avrebbe potuto essere se ne avessi presa un’altra; ho imparato l’ importanza di muoversi per fare sì che la decisione presa sia o diventi quella giusta (anche con aggiustamenti di rotta: certezza non significa inflessibilità).
Il resto della nostra famiglia (genitori miei e del marito, sorella, zii vari, figli anche) e degli amici, l’ha saputo a cose praticamente fatte e, più o meno silenziosamente, si è adeguato. In più, sto coinvolgendo tutti nel mio nuovo progetto: dai nonni che ci aiuteranno ancora nella gestione dei bambini, alla cognata bravissima e appassionata fotografa che mi aiuterà con le immagini per l’ e-shop che voglio lanciare, agli amici che fanno pubblicità e danno sostegno, al marito che profonde pazienza e pungoli, ma soprattutto è sempre accanto a me.
Com’è cambiata la tua routine?
Le prime settimane dopo le dimissioni sono servite a scrollare l’ idea di “sono in vacanza a tempo indeterminato” e ad organizzare una nuova routine, oltre che a perdere l’ansia e la fretta con cui facevo tutto mentre ero ancora dipendente: adesso, con orgoglio, faccio la spesa camminando tra le corsie del supermercato, non corro più come se avessi una formula uno invece del carrello da spingere – e non è stato facile. Un paio di settimane per riposare e staccare completamente con la vita “di prima”, poi progetti e organizzazione per l’adesso e per il futuro.
Al mattino posso accompagnare i bambini a scuola e asilo (cosa che facevo di rado prima e solo quando marito o nonni non potevano), e fermarmi 5 minuti con maestre, altri genitori o nonni a fare due chiacchiere (incredibile quanto ne sappiano più di me sui miei figli e su quello che amano o no: queste scoperte sono decisamente tra i pro). Per non disperdere energie, al rientro lavoro al mio progetto dalle 9 alle 13, facendo finta che il resto non esista (casa in disordine, cestone del bucato pieno, i panni già lavati da stirare, spesa, pasti… chiunque si occupi di una casa e una famiglia ha idea di che cosa sto parlando) e questo distacco è la parte più difficile da raggiungere (5 minuti, dai, attacco la lavatrice, due minuti, dai, lavo le tazze della colazione, un attimo solo, leggo due cavolate su FB: all’ improvviso è finita la giornata e anche il tempo per lavorare!).
Alle 13 pranzo, poi fino alle 16 mi occupo di quello che avevo finto non esistesse in casa. Recupero bimbi da scuola e asilo alle 16:30, pomeriggio con loro: finalmente mi raccontano come passano le giornate, le scoperte o le preoccupazioni (prima, gli ascoltatori erano i nonni, la zia, per ultimi mamma e papà che arrivavano alla sera e spesso non sentivano nulla: a quel punto, i bambini erano stufi di raccontare), ho meno remore quando li devo riprendere, possiamo progettare insieme attività extra-scolastiche (il grande che ha 7 anni ha espresso il desiderio di tirare con l’arco; il piccolo, di 4, vorrebbe sempre imitare il fratello, ma lo stiamo indirizzando verso altri interessi; piscina per tutti -anche per me, sia mai che alla soglia dei 40 anni riesca a imparare a nuotare!). Avendo gestito le necessità casalinghe durante la settimana lavorativa, sabato e domenica sono tempo insieme e non gli unici due giorni in cui poter concentrare i “doveri”, ma in cui trovano posto i “piaceri” e gli hobbies, e le idee anche un po’ folli (mio marito, consulente informatico, è diventato carpentiere e ha costruito un arco in carton-gesso tra sala e cucina praticamente perfetto).
La nostra vita ha (un po’) rallentato e ne ha guadagnato (per me, sicuramente). Certo, dobbiamo stare più attenti ai soldi che entrano ed escono (ma sono diminuite anche le spese fisse legate ad un lavoro a Milano). Abbiamo guadagnato tempo (importantissimo, è la base per tutto), idee, condivisione, energia, vitalità. Sono fortunata, perché tutto questo è stata una scelta, non un imposizione improvvisa (a chi perde il lavoro, e già prima aveva tagliato tutto il tagliabile dalle spese, posso solo dire che capisco perfettamente in quale situazione si trovino, per mio vissuto precedente). Sono fortunata anche perché, figlia di un operaio e di una casalinga, cresciuta in un appartamento di 45 mq in affitto, ho passato una vita a non sentire la mancanza di nulla perché avevo quello che era fondamentale (attenzione, affetto, fiducia, esempi): soldi in meno significa adattarsi alle circostanze, non rinunciare alla propria vita e al proprio futuro. Sono fortunata, perché ho un compagno che mi mostra ogni giorno l’ importanza e gli effetti della tenacia uniti al coraggio e al supporto incondizionato (ma non cieco) di chi ci ama, che ogni giorno mi ricorda di non dire “spero che” ma “quando” realizzerò i miei progetti. Sono fortunata perché ho la possibilità di trasmettere valori, non eredità materiali, a due esseri umani in divenire.
Paure? Ripensamenti?
Certo, alla fine del mese mi prende tremarella quando non vedo più lo stipendio sul conto. Tutti mi guardano come fossi pazza quando racconto di essermi dimessa, soprattutto in un contesto economico così precario. Chi conta veramente nella mia vita però mi sostiene e mi incoraggia, e questo mi fa capire che è il modo in cui affrontiamo la vita, non il lavoro che facciamo, a definire veramente chi siamo e quali tracce lasceremo. In più, lavoro a maglia e uncinetto: un gomitolo e due ferri e un’ oretta di lavoro, alleviano qualsiasi stress e paura, provare per credere!
Cos’altro aggiungere? Io direi nulla, se non un grande in bocca al lupo a Cinzia, e voi?
Prosegui la lettura su: Mollo il lavoro (in banca): storie di dowshifting – II parte