Il paradosso del Vetiver nella bioingegneria ambientale

Il paradosso del Vetiver nella bioingegneria ambientale

Il paradosso del Vetiver nella bioingegneria ambientale
Si fa un gran parlare, negli ultimi tempi, del vetiver (Vetiveria zizanioides), una graminacea perenne originaria dell’India. Nell’ambito della sostenibilità ambientale, si sta facendo ricorso a questa graminacea per risolvere il problema della fragilità del territorio, in particolari degli argini e delle zone a rischio. Questo per via …

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Il paradosso del Vetiver nella bioingegneria ambientale

sistema vetiver
Si fa un gran parlare, negli ultimi tempi, del vetiver (Vetiveria zizanioides), una graminacea perenne originaria dell’India.
Nell’ambito della sostenibilità ambientale, si sta facendo ricorso a questa graminacea per risolvere il problema della fragilità del territorio, in particolari degli argini e delle zone a rischio. Questo per via di peculiari caratteristiche di questa specie non autoctona. La tecnologia prende il nome di sistema vetiver.
Tali caratteristiche sono la grande profondità delle radici, la loro accentuata resistenza e la capacità della pianta di sopportare enormi sbalzi di temperature senza soffrire.
Installando questa pianta si interverrebbe con opere di fortificazione dei terreni senza utilizzare tecniche invasive.
E’ facile trovare su internet innumerevoli pagine redatte da produttori o venditori di questa pianta, in cui viene descritta come miracolosa.
Tuttavia non esiste ancora uno studio serio che affronti in modo dettagliato e scientifico l’impatto biologico della specie nel nostro habitat.
Il pericolo è proprio di natura biologica, vediamo quali sono i dubbi che nessuno si pone il problema di chiarire in termini rigorosamente scientifici, ovvero con numeri precisi derivati da osservazioni ripetute e basati sulla documentazione scientifica internazionale.
1) L’inserimento indiscriminato di specie non autoctone è considerato un pericolo per la biodiversità locale. Si tratta infatti dell’intervento meno sostenibile che esista per via della sua distruttività verso la biologia locale.
Secondo i produttori queste graminacee (tra le famiglie più infestanti nel modo più assoluto al mondo), non sono per nulla infestanti.
E’ ovvio che ci si aspetti, prima di procedere, una relazione dettagliata sul fatto che questa graminacea si comporti in modo così diverso rispetto alle altre graminacee.
2) Riproduttività. I produttori sostengono che i semi sono sterili. Si suppone quindi che sia un ibrido, o una pianta OGM. Tuttavia non esistono chiarimenti su questo punto.
3) Si attendono prove scientifiche che la pianta importata non alteri la composizione della fauna locale, come l’equilibrio tra predatori e impollinatori.
4) Le graminacee sono note per l’impollinazione intensa. Essendo una specie non autoctona si attendono garanzie sui rischi derivanti da nuove allergie.
Questi sono alcuni punti che devono essere pubblicamente chiariti prima del loro inserimento nel nostro habitat per evitare ripercussioni gravose. Se la comunità scientifica botanica dovesse dimostrare la completa sicurezza per la biodiversità locale, il vetiver potrebbe rappresentare una reale soluzione.
Purtroppo (o per fortuna, questo si vedrà), però, l’introduzione della specie è già in stato avanzato e già accettato dalle autorità locali. Non ci resta che sperare che le relazioni scientifiche siano già state effettuate e auspichiamo che siano rese pubbliche quanto prima.

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Ecosostenibile

 

Precisazioni del Dr. Marco Forti

Buongiorno, mi sia permessa una replica al vostro articolo, molto corretto e puntuale nell’illustrare la tecnologia in oggetto. Sono Marco Forti, ideatore della Rete Italiana del Vetiver, organizzazione nata su esplicita autorizzazione del Vetiver international Network, da circa venti anni allevo con soddisfazione il vetiver e posso affermare che, in Italia, nessuno conosce questa pianta bene quanto me anche sotto il profilo pratico-manuale.

Nel merito: l’affermazione che il vetiver sia tra le piante più infestanti non è corretta, la denominazione stessa, Chrisopogon zizanioides indica una semplice somiglianza ( desinenza ‘oides) con la più nota zizzania di biblica memoria, non la identifica affatto con la stessa;  la pianta del vetiver è autoctona in ogni continente con più nomi e più varietà, il fatto che non lo sia in Europa o in Medio Oriente, a mio avviso, è dovuto alla sua estinzione. La pianta è infatti palatabile ai ruminanti ed il suo gusto fresco la rende appetibile soprattutto allo stadio giovanile; le varietà disseminanti inoltre, hanno una bassa germinabilità del seme. Questi fattori a mio avviso, uniti ad una pressione eccessiva di pascolamento, ne hanno determinato in tempi remoti l’estinzione. Le varietà utilizzate per l’ingegneria ambientale invece, sono state selezionate naturalmente da un pool di esperti australiani e tailandesi negli anni ’80 tra le varietà meno germinanti o fiorenti e si sono ottenuti due principali ceppi oggi utilizzati: la varietà “Sunshine” e la varietà “Monto. La prima è stata studiata dall’USDA, dipartimento statunitense dell’agricoltura e la loro relazione è qui visibile http://www.vetiver.org/USA-USDA-NRCS_Sunshine.pdf . Si legga come il potenziale infestante è giudicato “irrisorio”. La varietà da noi utilizzata per il nostro progetto “Open Source” di diffusione presso gli enti locali per la autoproduzione e la cura del dissesto, è la seconda varietà, la var. Monto; la differenza tra le due è sostanzialmente che la prima fiorisce, la seconda no, affatto.

In ogni caso NON esiste un seme di vetiver, la pianta è riprodotta per divisione vegetativa e non può essere seminata. Questo dato costituisce al contempo la sicurezza ecosistemica e la dannazione del metodo perchè impone costi di manodopera che devono essere incontrati per il suo utilizzo. La nostra opera di ricerca ventennale è stata infatti rivolta anche alla ottimizzazione delle pratiche colturali ed all’abbattimento dei costi connessi, proprio per generare una economia di scala che faccia preferire il vetiver al cemento. Già i loro costi comparati sono di un quinto e la durata delle opere non incontra i limiti delle strutture rigide, vogliamo arrivare ancora più in la.

In buona sostanza, non esistono potenziali infestanti connessi anche per la particolare fisiologia della pianta: la radice è sottilissima e verticale e raggiunge profondità che non hanno paragoni con le altre piante, la sua alimentazione dunque è oggettivamente lontana dal poter interferire con altre essenze, uno dei suoi limiti è l’ombreggiamento, se viene coperta da, per esempio, un cespo di rovi, la pianta morirà. È dimostrato quindi che data la sterilità, data la passività e la diversa alimentazione, il vetiver non è infestante in nessun modo ed il suo utilizzo è economico rispetto ad altri metodi ed è in grado, se impiegata dagli enti locali “in proprio” di generare migliaia di posti di lavoro.

Vi invito a leggere qui sul nostro sito : http://www.vetiveritalia.it/come-funziona/  alcuni approfondimenti utili a meglio capire la nostra opera.

Vi ringrazio dell’attenzione

Marco Forti

B.A. visual and performing arts
C.Sturt University NSW Australia

 

LA RETE ITALIANA DEL VETIVER
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Senior Technical Consultant

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