Green Economy: una risorsa per uscire dalla crisi

Lo scopo primo della Green Economy è quello di individuare modelli di sviluppo sostenibile e responsabile (condivise ed attuabili) in grado di creare crescita ed occupazione soprattutto grazie all’utilizzo di fonti di energia rinnovabili e di moderne tecniche di riciclaggio di scarti e rifiuti. Nel Rispetto dell’ambiente e della salute. La Green Economy rappresenta oggi una valida via di uscita dalla crisi in cui le vecchie economie sono costrette a muoversi a tutto vantaggio delle economie emergenti. Gli Stati Generali della Green Economy (Ecomondo) affrontano questi delicati temi e cercano di fornire risposte condivise per una imprenditoria in grado di rinnovarsi all’insegna del GREEN.

Da diversi anni oramai si sente parlare di GREEN: Green Economy, Green Life, Green Style, Green Life e che più GREEN ha, più GREEN mette.
Ma a cosa ci riferiamo esattamente con questi “verdeggianti” termini?
Green Economy (letteralmente economia verde, più propriamente economia ecologica) rappresenta un modello, al momento solo teorico, di sviluppo economico originato da un’analisi del sistema economico che considera oltre ai tradizionali fondamentali (ad esempio il PIL o Prodotto Interno Lordo) anche l’impatto ambientale e quindi i danni che i processi di produzione, siano essi industriali o agricoli, possono arrecare all’ambiente.
Si considera quindi l’intera vita della materia prima (individuazione, estrazione, trasporto, trasformazione/utilizzo, eliminazione/smaltimento), i danni che ogni singola fase di questo ciclo è in grado di causare all’ambiente, danni che si ribaltano (retroazione negativa) sul PIL col risultato di fallo crescere meno di quanto in realtà si pensa o addirittura facendolo decrescere per via del calo che attività strettamente connesse alla qualità ambientale (pesca, agricoltura, turismo. salute pubblica etc.) patiscono.
Un esempio “terra terra” potrebbe essere la differenza tra la coltivazione naturale dei miei pomodori e l’uso di diserbanti e di un concime particolarmente aggressivo per i miei pomodori con i seguenti risultati:
  • avrò sicuramente un incremento del mio PIL personale in quanto produrrò più pomodori che potrò vendere o consumare senza doverne acquistare (segno + per il mio PIL)
  • avrò sfruttato maggiormente le risorse del terreno con la conseguenza che:
    • le capacità nutrizionali del terreno andranno ricostituite (segno – per il mio PIL)
    • avrò introdotto sostanze nocive nel mio corpo che potrebbero causarmi qualche malessere (segno – per il mio PIL)
    • avrò comunque dovuto pagare quel concime aggressivo e quel diserbante (segno – per il mio PIL)
Va da sé che se dispongo di un pezzetto di terra in più per ospitare qualche pianta di pomodoro in più allora, forse, mi conviene che le mie piante vengano su naturalmente visto e considerato che con il sistema intensivo quel che guadagno da una parta lo perdo da un’altra. Sempre che i danni della mia coltivazione intensiva di pomodori siano reversibili nel breve periodo. Pensate in caso di danni irreversibili alla mia salute o al mio terreno poi inutilizzabile?
 
Lo scopo primario della Green Economy è quindi quello di effettuare queste valutazioni per affinare misure economiche, tecnologiche, civiche e legislative che possano effettivamente ridurre il consumo delle risorse naturali, ridurre i danni ambientali, promuovendo lo sviluppo sostenibile ottenibile grazie all’efficienza energetica, alla riduzione dei gas serra promuovendo un’autentica economia sostenibile a livello mondiale e preferendo l’utilizzo di risorse naturali e l’incremento del riciclaggio.
 
In quest’ottica è possibile trovare spazi di crescita ulteriore per i PIL nazionali dei vari stati del mondo?
 
Indubbiamente in un mondo dove viene prodotto, nella normalità e nella più spietata concorrenza, veramente di tutto, occorre individuare “cose nuove” per stimolare consumi e crescita e la Green Economy, sotto questo punto di vista, può rappresentare l’alternativa ultima per un sistema economico al collasso nel quale, ovviamente, la fanno da padrone (e faranno sempre più) le economie emergenti che, grazie ai minori costi del lavoro e del welfare, divengono più competitive e saranno in grado di portare prodotti di largo consumo anche in zone del mondo dove sino ad oggi questi beni erano preclusi per gli elevati costi. Economie emergenti che però non dispongono, solo per il momento beninteso, di know-how sufficientemente avanzato per sviluppare le tecnologie necessarie a far si che un pannello fotovoltaico possa diventare competitivo nella produzione di energia elettrica ad esempio (stesso discorso vale per l’eoloco, il trattamento delle biomasse, l’utilizzo di bio-materiali in bio-edilizia etc etc).
 
Così come sempre la Green Economy potrebbe essere in grado di occuparsi ad esempio della riqualificazione del territorio sempre più soggetto a veri e propri disastri ambientali. Sappiamo infatti tutti che i danni provocati da alluvioni e frane, trovano un amplificatore nelle nuove condizioni dei terreni o nella manutenzione dei corsi d’acqua. Un’azienda italiana ad esempio, ha da poco brevettato una miscela di sementi di piante adatte alla coltivazione montana a rapido accrescimento ed in grado colonizzare in breve tempo declivi la cui cura, prima, era garantita magari da qualche filare di viti di un contadino che era, prima, il garante delle condizioni del territorio col risultato che c’erano meno smottamenti, meno frane, meno morti, meno soldi da spendere in emergenza.
 
Esatto, meno soldi per calamità: visto e considerato che comunque in fase di calamità occorre intervenire non sarebbe allora meglio incentivare queste aziende a sviluppare le necessarie tecnologie in grado di prevenirle le calamità? Non sarebbe meglio spendere per dare lavoro, crescita e sviluppo piuttosto che per allestire tendopoli, ricostruire case e seppellire defunti?
 
La Green Economy può effettivamente rappresentare una ripartenza a 360 gradi consentendo occupazione, sviluppo e più attenzione per le nostre vite.